venerdì

Nuovo sport: chi si dopa meglio


A quale sport giochiamo?
di Giancarlo Rinaldi

Che fine ha fatto il doping?

A seguito dell’exploit dell’affaire Armstrong com’è prassi nel “bel paese”, ma non solo, dopo il grande scandalo e la forte esposizione mediatica tutto si è sgonfiato nell’indifferenza e nell’assuefazione generale.

Quelli di alcuni mesi fa sono stati giorni caratterizzati da un pullulare di commenti, punti di vista, illazioni sull’intervista rilasciata da Lance Armstrong nel talk-show di Oprah Winfrey.
Delle cose dette e dei commenti fatti da giornalisti ed esperti del settore, molteplici sono stati gli spunti attorno ai quali aprire una riflessione, un dibattito.

Ma c’è un aspetto, un luogo comune che trovo ricorrente sin dai tempi dei fasti e del dramma di Marco Pantani. Un luogo comune, presente anche nelle cose dette da Armstrong nell’intervista.
Nella rappresentazione di molti sportivi, ma non solo, è vivida l’idea secondo cui il “campione”, trovato positivo all’uso di sostanze, lo sarebbe stato anche senza, perché in fondo tutti ne fanno uso e quindi si gareggia ad armi pari.

A parte il fatto che questa cosa è tutta di dimostrare dal punto di vista scientifico, a mio avviso questa visione rischia di essere alquanto pericolosa e soprattutto è la morte di ogni etica sportiva e dello sport stesso se si considera che le regole e il loro rispetto sono il fondamento su cui lo sport in generale si basa.

Se tutto è lecito vengono meno quei criteri che consentono all'individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri, così come vengono meno quei fondamenti che consentono di distinguere i comportamenti buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati. Sarebbe lo sport del caos.

Tornando alla questione dal punto di vista medico, che questa teoria sia tutta da dimostrare è rappresentata anche dal fatto che ad una stessa assunzione di farmaci non tutti reagiamo allo stesso modo.
 
Come afferma Andrea Monti sulla Gazzetta dello Sport la teoria secondo cui i campioni, a parità di truffa, emergono comunque, non avrà mai riprova. La riprova non si può avere anche per il fatto che ognuno reagisce in modo soggettivo e quindi diverso all’uso di farmaci dopanti, perché di farmaci si tratta.



Ma non solo: è proprio un altro sport, perché in questo caso la gara è a chi si dopa meglio.
Per dirla come il recente titolo del libro di Alessandro Donati è “lo sport del doping”.
Probabilmente è proprio così.
In fondo Armstrong, e molti altri come lui, in questi anni hanno fatto proprio un altro sport.