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QUANTI GALLI NEL POLLAIO: le fatiche e le gioie dell'allenatore di pulcini e il metodo induttivo

G. è un amico che allena da anni squadre di calcio di bambini tra i sei e gli otto anni. La fa per puro piacere, di mestiere fa tutt'altro, l'addetto stampa. E' talmente legato a questa passione che ha cercato una squadra da allenare anche quando ha cambiato casa e si è trasferito in un'altra città. Ha quarant'anni, tanto per completare il quadro.

Ci fermiamo a chiacchierare dopo una nostra partita di calcio a 7, davanti a una birra. Mi racconta che ha avuto un diverbio con un genitore e che la cosa gli ha lasciato un po' di amaro in bocca.

"Alla fine della partita questo padre viene da noi (la squadra ha due allenatori) e ci dice senza mezzi termini che nel terzo tempo abbiamo completamente sbagliato squadra, che abbiamo messo i ragazzi fuori ruolo e che non ci capiamo niente di calcio. Non era la prima volta che veniva a mostrarci le sue lamentele e questa volta la situazione è degenerata. Il mio collega si è lasciato prendere dalla rabbia e gli ha risposto a tono, la discussione si è accesa e a un certo punto ho dovuto mettermi in mezzo perché non si menassero...Tieni conto che i bambini hanno otto anni...è incredibile."
"Voleva che suo figlio giocasse di più?"
"Non tanto quello, voleva che giocasse nel ruolo in cui secondo lui rende meglio. Io nel terzo tempo (i bambini di otto anni giocano tre tempi da 10' e sono cinque in squadra) l'ho messo in difesa, che è pure un segno di stima verso di lui visto che a quell'età la difesa è il ruolo più difficile, e lui riteneva che la squadra si fosse indebolita. Parlava a getto continuo, abbiamo cercato di spiegargli che la nostra priorità è comunque che tutti giochino lo stesso tempo e che per far questo bisogna spostare i giocatori di ruolo...Che poi è anche formativo per loro cambiare la posizione in campo, sperimentarsi tatticamente, li fa crescere..."
"Immagino abbiate perso la partita..."
"Si, 1-0, ma non abbiamo giocato male, abbiamo perso per un episodio".

G. poi allarga le riflessioni ad altri genitori.

"L'altro giorno uno viene da me tutto sconsolato dicendomi che suo figlio proprio non andava...L'ho guardato un attimo e poi gli ho detto che invece suo figlio era migliorato parecchio ed era diventato proprio bravo. Non mi credeva!"
"Hanno fretta di vedere i risultati subito, non colgono i passi avanti fatti. Sai per me invece qual'è la cosa più bella? Vedere che un ragazzo mette in pratica quello che gli ho insegnato. Alcuni ci mettono poco, altri tanto tempo, però a quello devo puntare..."

Come dire che le vittorie poi arriveranno, o forse che già quelle sono vittorie.

"Questo padre di cui ti ho parlato ha effetto deleterio sul bambino, gli mette pressione. Quando c'è la madre a guardare le partite gioca più sereno, l'ho notato più volte."

Poi gli chiedo qualcosa sugli allenamenti e sulle tecniche.

"Guarda, quando gli insegno il passaggio inizio subito a farglielo fare, senza spiegazioni, soltanto provare. Poi gli spiego cosa correggere, la posizione della gamba d'appoggio, il punto d'impatto del piede. Quando gli insegno il tiro faccio usare delle palle più leggere, in modo che abbiano la soddisfazione di calciare lontano. Poi uso la metafora della fionda, che la loro gamba è come una fionda che spinge la palla...se la usano in questo modo anche i piccoli possono calciare forte come quelli più alti. Cerco anche di assecondare i loro istinti, c'è un bambino che ha l'impulso di tirare ogni volta che gli arriva la palla, allora gli ho suggerito di alzare la testa e guardare prima la porta...non è facile ma pian piano inizia a farlo."

C'è tutto il tempo dell'educazione nelle parole di G., e l'educazione non può avere fretta perché è già complicata di suo e perché è fatta di osservazione. Un allenatore deve poter avere la serenità e il tempo di guardare i suoi ragazzi per capire dove sbagliano e come possono migliorare. Altrimenti diventa un selezionatore, o un intrattenitore, che son pur sempre funzioni utili per allenare, ma se ci fossero soltanto selezionatori o intrattenitori le squadrette giovanili non terrebbero i ragazzi agganciati a lungo.

Interessante poi questa cosa del metodo induttivo per introdurre la spiegazione di un movimento. Prima ti faccio fare e poi ti spiego. Mi chiedo se sia una peculiarità dello sport e se tutti gli allenatori la pratichino. In tal caso sarebbe un'interessante approccio da suggerire al mondo dell'insegnamento e della formazione, in cui "la teoria prima degli esercizi" è il paradigma dominante, che spesso disperde l'attenzione di chi deve imparare, soprattutto di chi fa fatica con i concetti e con l'astratto. Immaginate un insegnante che inizia a spiegare che cos'è un aggettivo facendo scrivere ai ragazzi un pezzo senza aggettivi. Oppure invitandoli a eliminarli una volta scritto...

"Mi chiedo perché tanti genitori vogliano sostituirsi agli allenatori in nome di una maggiore efficacia ed efficienza nei risultati" dico io.
"Vedi il fatto è che non riescono a comprendere che sul campo, in partita, intervengono fattori diversi dalla tattica, come l'emozione o la fatica. Soprattutto non capiscono che sul campo è diverso che sulle tribune, che bisogna trovarcisi nella bolgia e che quindi tutti, bambini e allenatori, possono anche perdere lucidità" risponde G..

Bisogna accettare l'errore per l'appunto, lasciargli il suo tempo perché è il tempo che serve a imparare. Che è un concetto che a un genitore può servire, eccome. Sarà mica questo il punto?